credit immagine: Ciclismo Italia.
Di Gino Bartali si è già raccontato tutto. Grande ciclista, storico rivale di Fausto Coppi non può che essere annoverato tra le leggende del ciclismo e dello sport in generale. Ma cosa rende allora “Ginettaccio” speciale? Un eroe tra gli eroi, una leggenda tra le leggende?
Arriva la guerra
Siamo nel 1943. Gino Bartali ha già vinto due Giri d’Italia e un Tour de France. Sono tempi bui per il mondo. Scoppia la seconda guerra mondiale, il suo rivale, Fausto Coppi viene arruolato in fanteria, mandato in Tunisia e successivamente catturato dagli inglesi, che lo spediscono in un campo di prigionia a Capo Bon. A Bartali invece, verrà risparmiata la divisa, a patto che esso diventi un simbolo di italianità e del fascismo. Bartali, burbero e schivo toscanaccio, capisce che è arrivato il Momento di mettere a disposizione la sua fama, la sua vita, in favore di quelle stesse persone che lo amano, sostengono e incitano durante le corse.
Una vittoria più grande
Così, a 29 anni, si mette al servizio di una rete di salvataggio di ebrei, la DELASEM tramite l’amico e arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa e il rabbino Nathan Cassuto.
Il piano è il medesimo: durante le gare ciclistiche e gli estenuanti allenamenti che lo portano frequentemente a passare da un confine all’altro, sfruttare la sua visibilità e la fama di “intoccabile” per trasportare (naturalmente in gran segreto) documenti falsi.
Documenti importantissimi per gli ebrei, documenti funzionali a fughe o elusioni di rappresaglie. Trasportati per centinaia di chilometri all’interno di sellini, manubri e telai.
Quella bici compagna di vita
Ci saranno controlli, fughe, sparatorie ed interrogatori piuttosto duri, ma la sua mitica figura sportiva gli ha sempre permesso, insieme alla compagna di mille imprese, la sua amata bicicletta, di farla franca. La stessa bicicletta che con fatica veniva sporcata di terra da Gino per evitare che gli scintillii delle cromature attirassero i caccia nemici (una volta fu bombardata, senza lui a bordo, proprio per questo motivo). Una storia venuta a galla solo dopo la sua morte. Quel 5 Maggio del 2000 a seguito di un attacco di cuore. Il figlio Andrea, amico e confidente di Papà, è sempre stato l’unico a conoscere le sue storie. Storie che lo stesso Gino ha severamente vietato al figlio di raccontare, perché « Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca ».
Quella promessa non mantenuta per amore
Alla sua morte il figlio Andrea farà dolcemente “arrabbiare” il suo papà, raccontando quanto fatto in quegli anni duri.
Nel 2006, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnerà ai discendenti la medaglia d’oro al valor civile. Nel 2013, verrà annoverato tra i “Giusti tra le Nazioni” dallo Yad Vashem; uomini e donne che hanno spontaneamente e disinteressatamente protetto gli ebrei durante le persecuzioni Naziste. ennesimo emozionante dono offertoci dal suo amore per la bicicletta.
Il coraggio di essere un campione
Tornando dunque alla domanda iniziale, Gino Bartali ha saputo affrontare la vita in modo più che mai coraggioso. Mettendo al servizio del prossimo il suo talento, non preoccupandosi di tutto quello che avrebbe potuto perdere, ne cullandosi nella sua popolarità che gli avrebbe di certo fatto scorrere gli anni della guerra con pochi rischi. Ma un campione, un eroe, si vede dal coraggio, dalla voglia di vincere non solo sul campo ma anche e soprattutto nella vita. Per questo motivo, Gino Bartali, nella sala delle leggende sportive, non può che aver riservato uno dei ruoli più importanti e prestigiosi ed il nostro umile compito, sarà quello di ricordarlo per sempre. Per sempre.