credit immagine: Paolo Ranzani.
Gianni Minà – “Eravamo Io, Ali, Robert de Niro, Sergio Leone…”
Per chi come noi si nutre di aneddoti, racconti inediti e Momenti che hanno scandito i passi della storia, Gianni Minà non può che essere figura di spicco -oltre a maestro inarrivabile- a cui ispirarsi. I suoi racconti, la semplicità nell’approcciarsi con gli uomini più influenti della terra, il profilo garbato volto a conquistarsi la fiducia dell’intervistato che, d’un tratto, non avea più il sentore d’esser trattato come merce da sbattere su di un foglio, bensì sentiva quasi la stessa familiarità delle chiacchiere con l’amico fraterno. Il tutto condito da una immensa cultura che permetteva ad ogni intoppo di trovare la soluzione più adatta e senza che nessuno ne provasse rimorso. La sua carriera giornalistica è senza alcun dubbio legata a Muhammad Ali. Per l’affetto, stima e l’amicizia che legò i due per una vita. Una storia la loro, nata dalla straordinaria capacità di Minà di riuscir a trovare sempre l’aggancio giusto per intervistare il protagonista della storia. Così, grazie al coach di Ali, Angelo Dundee, arrivò una prima intervista al campione dei campioni. Un’intervista banale, con un Ali infastidito ed un Minà che, capendo la situazione, col suo solito sorriso ed il volto colmo di bontà disse al pugile che quell’intervista non sarebbe mai andata in onda. Ali apprezzò la sincerità di Gianni Minà e ne nacque una amicizia che durò fino alla scomparsa del più influente pugile della storia.
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Ali considerava Minà una persona da cui attingere energia positiva e quindi un portafortuna. Un menestrello capace di narrare la propria storia nel migliore dei modi.
Nacque così uno degli aneddoti più curiosi -per quanto concerne il mondo dello sport- avvenuto durante uno dei tanti soggiorni a Roma di Muhammad Ali.
“All’epoca frequentavo Robert DeNiro, che era a Roma per girare “C’era una volta in America”, il film di Sergio Leone, ed una sera mi chiamò. Mi chiese:
-“Gianni, come va? Che hai da fare oggi?”.
– Io gli risposi: “Sono con Muhammad Ali stasera, stiamo per andare a cena”.
– De Niro sobbalzò e disse: “Con chi è che stai? Cioè, stai andando a cena con Muhammad Ali e non me lo dici? Cioè è il mio idolo di sempre. Io vengo a cena con te stasera Gianni”.
Dopo un po’ ricevetti una telefonata di Sergio Leone, per la verità un po’ arrabbiato, e mi disse che De Niro non sarebbe potuto venire perché quella sera avevano un importante incontro per definire alcune scene del film, quindi non si poteva fare nulla. Io gli dissi che in realtà non c’entravo niente, stavo solo andando a cena con Muhammad Alì e Robert si era voluto aggiungere. A quelle parole, Leone disse:
– “Cosa??? Cioè tu e Robert state andando a cena con Muhammad Ali e non mi avete detto nulla?”.
Volle a tutti i costi accodarsi anche Sergio Leone. A quel punto mi preparai e, una volta pronto, stavo quasi per uscire, ma suonò di nuovo il telefono. Era il premio Nobel Gabriel García Márquez che era a Roma per cenare anche lui con Sergio Leone e De Niro, ma aveva appena appreso che l’incontro era saltato perché c’era una cena con Muhammad Ali.
Morale della favola?
Ci ritrovammo tutti a cena da “Checco il Carrettiere” e mi ricordo che mettemmo tutte le donne da una parte del tavolo e noi dall’altra, perché non volevamo assolutamente farci disturbare; e passammo l’intera serata a fare domande a Muhammad sulla sua carriera e sui suoi match. Ci raccontò tutto. Io, De Niro, Marquez e Sergio Leone ascoltavamo: eravamo tornati tutti bambini”.
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Un racconto che al giorno d’oggi paragoneremmo ad un film della Marvel, dove l’unione dei più famosi supereroi genera una pellicola unica, adrenalinica e famelica. Storie nelle storie, di quelle che non ci stancheremmo mai di leggere, di quelle che rendono insaziabile il lettore. La curiosità e lo stupore di ascoltare come un affermato scrittore, piuttosto che attore o regista possano avere anch’esso un eroe. Narrare l’artista nell’esperienza fatta dall’uomo, da quella voglia matta di sentirli vicini a noi. Perchè quel giorno, a quel tavolo, avremmo avuto gli stessi sguardi di Robert de Niro, Sergio Leone e Gabriel Garcia Marquez. Con una sola certezza. Quella sera, in quel tavolo di super eroi, avremmo voluto essere Gianni Minà.