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El Trinche – La differenza tra gioco e fama
Il mondo del calcio è pieno di potenziali campioni che non hanno mai raggiunto il successo e la fama che avrebbero meritato.
C’è chi è stato fermato da un infortunio, chi ha dovuto fare i conti con il proprio carattere, chi è stato semplicemente sfortunato. E poi c’è El Trinche.
Rosario, Argentina, 1974.
Con il Mondiale alle porte, l’Albiceleste sta disputando un’amichevole contro una rappresentativa locale. Una di quella partite che servono solo a oliare gli ingranaggi in vista di una grande competizione. Non serve un avversario all’altezza, ma uno sparring partner.
All’intervallo il risultato è 3-0.
3-0 a per quella formazione di semisconosciuti.
Cap, l’allenatore della nazionale, va dal collega e avanza una richiesta: togliere dal campo quel ragazzo che gioca davanti alla difesa. E’ troppo forte e non sanno come fermarlo. Dai suoi piedi nascono le 3 reti, sui suoi piedi si infrange ogni tentativo di ripartenza di Kempes e soci.
Quel ragazzo risponde al nome di Tomàs Felipe Carlovich, El Trinche per gli amici.
Carlovich, calcisticamente, ha tutto.
Tecnica, visione di gioco, piedi sensibili, fisico e carattere tosti.
Carlovich è un calciatore straordinario.
Quando Maradona andò a Rosario per una partita, un giornalista si rivolse a lui definendolo “il più grande di sempre”. Diego rispose: “No, il più grande di sempre è vero, aveva giocato a Rosario, ma non sono io. Successe molti anni fa e il suo nome è Tomàs Felipe Carlovich”.
Quello del doppio tunnel all’avversario, in avanti e all’indietro, ogni qualvolta il pubblico glielo chiede.
Quello che, quando gli altri si chiudono e temporeggiano, si siede sul pallone, ma “solo per pensare, non per umiliare l’avversario”.
L’Argentina scopre improvvisamente un talento fuori dal comune. Piovono le offerte e un paio d’anni dopo arriva anche la prima chiamata dalla Selección. Il CT Menotti lo vuole conoscere da vicino e gli dà appuntamento a Buenos Aires. El Trinche accetta, ma nella capitale non ci arriverà mai. Si ferma per strada, vicino a un torrente, a pescare. A pescare e a riflettere.
Non vestirà mai la casacca a strisce bianche e blu, non firmerà mai con un top club.
La scala dei valori di Tomàs è chiara e ben definita. Diversa, molto diversa da quella degli altri calciatori, ma non per questo da perseguire con meno audacia e caparbietà.
Carlovich, umanamente, ha tutto.
Anche quella divina capacità di discernere ciò che conta dal futile dell’esistenza.
“A chi mi domanda perché non sono arrivato chiedo: cosa significa arrivare?
Io volevo solo giocare a pallone e stare con le persone che amo, e loro vivono tutte qui, a Rosario.”
Carlovich è un uomo straordinario.